La lavanderia e il discernimento: il giudizio funzionale

La lavanderia e il discernimento: il giudizio funzionale

Il discernimento, come la pazienza, sembra essere una qualità essenziale in disuso tra gli adulti. Ecchessarà mai questo discernimento! Pare un termine antico e obsoleto, spesso confuso con il giudizio nella sua connotazione negativa.  Per esempio, in quella estensione di critica non richiesta e affrettata che separa il giusto dispensato dall’alto, dallo sbagliato che non solo stai facendo ma che sei. È il far notare un’azione, magari poco appropriata, con quella malcelata accusa che tu, proprio tu, sei sbagliato.

Se guardiamo bene, questo fenomeno accade ripetutamente nel nostro dialogo interiore creando condizioni di automatica sofferenza. Alcuni lo chiamano il cane che abbia, quello che comunque ti muovi (e sei), sbagli. O quello che appena ricevi una gratificazione e un riconoscimento, ti loda e t’imbroda.

Il fatto che qualcosa è andato storto non implica che dobbiamo arrogarci il diritto di auto giudicarci storti. Questa capacità di distinguere è discernimento.
Nel suo significato etimologico, infatti, il discernimento richiama il saper distinguere, valutare con buon senso. Una capacità naturale, almeno dai tempi in cui per es., avendo scoperto che il fuoco brucia, abbiamo smesso con leggerezza di metterci le mani a contatto, senza tuttavia condannarlo.

Abitati come siamo – i più, non tutti – da giudizi inanellati su questo e su quello e, contemporaneamente, da i tanti moniti (giudizi?) sul fatto che giudicare non va bene, è separante, è poco spirituale etc. etc… pecchiamo in capacità di distinguere, valutare con fermezza, finendo col soffrire come cani. Sarebbe più appropriato dire, come umani. Il cane che non riflette, soffre magari sul momento, ma in seguito non si auto-commisera. Tuttavia non possiede capacità di discernimento, al punto da faticare a distinguere la merda da un cibo più consono.

Il discernimento è una qualità di giudizio da non confondere con la critica gratuita. Più che distruttiva in sé è spesso appesantita da quel “luogo” – e attitudine – da cui veniamo quando giudichiamo (difensivo, dimostrativo, comparativo, che la sa più lunga, dispregiativo…).

Distinguere il caldo dal freddo non richiede in automatico di lodare il primo per il suo carezzevole beneficio e di accusare il secondo per la sua gelida perfidia. In uno stato d’infiammazione, lodi e accuse si rovesciano: il primo sarà infuocata perfidia e il secondo carezzevole beneficio. Quella di confondere il distinguere con il giudicare – creare separazione, allontanare “per sempre”, scacciare dal cuore…  è una vecchia, antica, abitudine del cervello. Un’abitudine per quanto possa apparire tale non è la realtà (ultima).

Il discernimento è il buon terreno di un’azione chiara, in grado di risparmiarci guai e inutili sofferenze.
Come esercitare e coltivare di nuovo questo stato essenziale già presente in noi? Nel quotidiano ci soccorre la lavanderia e l'”arte” di preparare il bucato.

Meno distrattamente del solito dividete i panni sporchi per il colore, il tessuto, il tipo di lavaggio più adatto a seconda dello sporco… Si tratta di una valutazione. Fatene una meditazione. Esagerate magari il tutto mettendoli in sacchi diversi. Ebbene sì, separateli. Questo sarà di certo a beneficio dei vostri indumenti e dell’esito di un “sereno” bucato. Inoltre non preclude, di combinare di nuovo il calzino bianco di pizzo con il jeans che tende a perdere colore.

Sebbene separati nell’oblò e giudicati più adatti a questo o a quel lavaggio, la camicetta di seta rosa non avrà cessato di combinarsi volentieri con la gonna scura di cotone, che nel frattempo continua a percepire il suo valore. Il maglione di lana continuerà ad amare il vestito di flanella pur giudicandolo un po’ frivolo e leggero. Fino ad accorgersi, giocosamente, che magari proprio ciò che li distingue invita, su un’altro piano, all’unione. L’atto di distinguere – separare – non significa dividere. E tantomeno per sempre.

Adesso altro non ho da dirvi che rammentarvi una frase che proprio l’altro ieri è giunta ai miei occhi: “La vita di un maestro zen è un continuo errore.” [Dogen]
Caspita, che discernimento! Allegra lavanderia, maestri zen.

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