Il disgusto per la morte – gli avvenimenti in Francia
Sono inevitabilmente raggiunta dalle notizie dalla Francia, palcoscenico dell’irrompere della morte, laddove la vita si suppone debba dispensare la sua piacevolezza, lasciandola fuori – negli stadi, le discoteche, i ristoranti. Sulle tracce di questa supponenza, mi trovo catapultata, di nuovo, di fronte alle mie paure e idee su Madama Morte.
Quella di loro, i diretti coinvolti, m’intristisce e più ancora mi disgusta, a morte. Proprio perché pensata, interpretata e non vissuta davvero. Chi mai può e potrebbe saperla davvero?
Le testimonianze sono di coloro che ne sono usciti vivi.
Disgusto per la morte – nella sua più spinta crudezza – i cosiddetti terroristi non ne hanno. Anzi magari, da sempre, volendo o nolendo, ne subiscono il gusto. Come un pochino anche molti di noi, avidi d’immagini tragiche. Gusto e disgusto vanno a braccetto. Per quelli che sono pronti a morire e a dare la morte, per quelli che si lasciano saltare in aria, non c’è disgusto, non c’è tabù, c’è gloria – vana – che vanifica la paura della morte. Essi non sentono. Neanche la paura. Forse non hanno cuore ma hanno fegato. Non hanno niente da perdere, anzi, forse hanno da guadagnarci il paradiso. Son portatori di morte, allo scoperto, cingendosela intorno ai fianchi, al plesso, al cuore. Cingendola stretta, tanto quanto noi, schizzinosi, facciamo ogni sforzo per respingerla. Portatori sani.
Imbracciano la morte ed essa è la loro vera arma. Un’arma facilmente manipolabile da chiunque voglia sfruttare la dilagante paura, che alla fine, gira-gira, è paura della morte, o meglio delle tante idee che abbiamo sulla morte, immediatamente ingrassate da eventi del genere. Ed ecco che siamo, di nuovo, minacciabili di morte. E questo ci indigna, magari ci disgusta.
Come se alla morte non fossimo destinati fin dalla nascita. Sì, lo si dice, ma è quasi preferibile morire che prenderne atto davvero.
La morte non dovrebbe accadere o se deve, dovrebbe accadere in altri modi. La morte è tabù, la morte è cosa sporca, è maledizione, la morte potrebbe essere evitata… Sì, evitando la vita.
Per un attimo, alle prime notizie, mi sono cagata sotto, per mia figlia, che gira il mondo. Per un attimo ho lasciato scorrere i fotogrammi rassicuranti di un ambiente, il mio, a prova di terrorismo. Ma se mi capita di svegliarmi, talvolta, nel bel mezzo della notte assalita da paure che danno forma a un futuro incerto e detestabile, come quello della vecchiaia e dell’indicibile tabù dei tabù, la morte! Allora, che caspita mi sto raccontando? Chi terrorizza chi? I terroristi risvegliano un terrore già ben nutrito.
Si muore – la nostra identità di sicuro – e non come ci pare. Come le pare. A chi? Alla vita, che non conoscendo morte, gioca solo con alcuni aspetti pruriginosi e imponderabili di se stessa.
Il disgusto per la morte assomiglia a quella ineffabile repulsione che all’inizio mi coglie per l’autunno.
Prima che la bellezza del suo manifestarsi mi sovrasti.
Non c’è alcuna bellezza negli eventi francesi, ne convengo. Nessuna giustificazione per chi crede che dare la morte sia un diritto. In questo sta la violenza, nel pensare che lo sia. E che la morte di alcuni valga di meno della morte di altri.
Può difficile è scorgere quella stessa violenza nella pretesa che la vita sia un diritto. E che alcuni ne abbiano più diritto di altri. Questa è la violenza nutrita dai media.
Vedere lo scempio di un diritto crea indignazione. Mancare il fatto che la vita sia, invece, il più sacro dei doni, quello è il vero peccato. Prenderlo in pieno quel dono, gustarlo, gioirne, soffrirne senza difese, inchinarsi alla sua forza, sì, fa paura.