Onore alla tristezza, alla tenerezza. E anche alla paura
Nonostante le incertezze, i timori, le fragilità e i dubbi, sento che sto conducendo la mia vita nel senso più pieno. Il che non significa collezionare successi(sigh) e sentirmi sempre “splendida splendente”, piazzando sorrisi inossidabili a destra e sinistra come da diploma olistico. Questa per me, tra l’altro, non è neanche gentilezza.
Gentile (profondamente gentile), è l’autenticità, intesa come onestà nei confronti della situazione in cui mi trovo. Quando sorrido – oh niente di ipersmagliante – sento spesso la tenerezza del pianto, lo struggimento. Sento una vena di tristezza. E questo, talvolta, mi ha fatto sentire una scarsa allieva della sorrisoterapia 😉
Così, voglio condividere con voi, cari lettori, che non c’è niente di male nello scoprirsi tristi – quella tristezza che scorre argentina senza indugiare – fragili, impauriti, soprattutto in questo periodo in cui capita di atteggiarsi da spiritualoni, arrivando magari a pensare che la nostra “crescita spirituale” è da bocciatura. Ammesso che ci sia davvero una cosa come la crescita spirituale.
Qualche tempo fa mi è venuta in soccorso l’ironica saggezza di quest’uomo – Chögyam Trungpa(nella foto) e la sua visione del guerriero di Shambala – le cui parole (anche dal libro), a un certo punto, mi hanno vista, guardandomi dritta negli occhi e accogliendo la mia timorosa, vulnerabile, codarda umana natura. Lo annovero tra i miei “incontri” con uomini ordinari.
“Nel corso di una giornata potete scendere a un livello quasi subumano di dubbio e di depressione e poi ritornare al livello del guerriero ancora e ancora, molte volte al giorno. […]
Quando state per far nascere maggior fiducia, quel progresso è preceduto da una sensazione di totale paura. Quando questo accade nella vostra vita, dovreste esaminare la natura della paura. Non ponetevi domande logiche (analitiche), come: «Perché ho paura?». «Qual è la causa della mia paura?». Limitatevi a osservare lo stato di paura o di panico che alberga in voi. Indagatelo, semplicemente. Si possono sempre rinvenire molte buone ragioni per aver paura. Ma in questo caso dovreste osservarla in modo diretto. Poi, saltarvi dentro. Se lo fate quello che sperimenterete, sarà un senso di totale insuccesso. La paura porta con sé un’enorme energia. Quando vi tuffate in essa, la sensazione è quella di bucare un pallone, oppure potrebbe derivarvi un’improvvisa sensazione di freddo, come se vi foste tuffati nell’acqua ghiacciata. Allora, sentirete un pizzico di tristezza. Oltre a questo, potreste percepire un costante senso d’isolamento e d’incertezza, che sono i residui della paura; ciò nonostante la qualità della paura intensa comincia a placarsi e la paura diventa in qualche modo ragionevole e trattabile. Riemergete. Non stiamo parlando di un grande evento che si verifica in un solo pomeriggio (sebbene potrebbe ndr)”. Ogni volta che fate esperienza della paura, sperimentate di nuovo e vi riconnettete con l’intero concetto dell’autenticità, più a fondo e più pienamente.”
[…]
E ancora: “Certe volte quando siete deliziati da qualcosa, diventate insensibili e vi sentite compiaciuti(vi auto compiacete in voi e su FB, ndr). Pensate (e alla fine magari lo dite, di questi tempi è sintomo che avete appreso bene la lezione dei vari formatori, ndr): «Io sono felice». È un’autoaffermazione. Ma nel caso del guerriero c’è una punta di dolore, che non è negativa, solo una punta di rammarico, di pena. Tutte le volte che c’è interesse, tornate alla fondamentale tristezza e tenerezza, che vi permettono di essere più autentici, e ciò accende ulteriore interesse. A questo punto, sentite la vostra vita procedere con costanza.”
Certa che possiate trarre conforto e forza dalle parole di questo inusuale “monaco”, che, a un certo punto, ha mollato i voti, per metter su copiosa famiglia.
Come farlo? Ecco il mio modo di passarvelo: iniziate con la postura seduta e rintracciando la paura in voi (la codardia, lo scoramento, il panico…) – come ogni emozione ha già tracce somatiche presenti nel corpo – contenetela. Come si cinge tra le braccia un bimbo spaventato, guardandolo negli occhi. Piuttosto che osservare il respiro, diventatelo, e con esso le variazioni che l’emozione v’imprime. Scopritela, esploratela. Di che si tratta veramente?
Come un nuotatore che annaspa, non tentate di abbatterla, assumete interiormente la posizione del morto, e magari lasciatevi raggiungere dal sollievo e dalla tenerezza di essere sostenuti. Una punta di malinconia, se è presente, non guasta.
Fonte: >Sorridi alla Paura, Chögyam Trungpa, Oscar Mondadori